
DIVORZIO – ANNULLAMENTO MATRIMONIO
Il termine divorzio (dal latino di-vertere, "separarsi") indica lo scioglimento, la fine di un matrimonio legalmente valido, a differenza dell’annullamento con cui si indica, invece, il disconoscimento di un matrimonio che non è mai stato valido.
L’annullamento, infatti, determina la cancellazione del vincolo matrimoniale eliminandone gli effetti con efficacia retroattiva a partire dalla celebrazione ; fatta eccezione per il matrimonio putativo, cioè quando entrambi o uno solo dei coniugi ignorino la causa di annullamento al momento della celebrazione, in questo caso, infatti, il matrimonio produrrà effetti, per il coniuge ignaro, fino all’annullamento.
Si può richiedere l’annullamento nel caso si verifichino:
1. impedimenti, cioè la non esistenza dei requisiti previsti per potersi sposare, quali : l’età, l’infermità mentale, non libertà di stato, l’esistenza di vincoli di parentela, affinità o adozione; la presenza di una condanna penale ; esiste poi un impedimento che riguarda solo la donna : il divieto temporaneo di nuove nozze o lutto vedovile, secondo il quale la donna, per evitare il conflitto tra diverse presunzioni di paternità, potrà sposarsi di nuovo solo decorsi 300 giorni dallo scioglimento, annullamento o cessazione degli effetti civili del matrimonio precedente, in caso contrario sarà soggetta a sanzione.
2. vizi del consenso, quando cioè il consenso del coniuge risulti viziato da : incapacità d’intendere o di volere, violenza o timore, simulazione ed errore essenziale, ossia che si riferisca alla malattia psichica/fisica o un’anomalia sessuale ; alla condanna penale per il reato di prostituzione, alla dichiarazione di delinquenza abituale o professionale, alla gravidanza derivante da un adulterio coniugale, se dopo la nascita, venga richiesto il disconoscimento di paternità.
A tutt’oggi solo gli Stati, Città del Vaticano e Filippine non hanno legalizzato il divorzio, il quale per essere valido, nella maggior parte dei paesi che lo prevedono, richiede la sentenza di un Tribunale o di altra autorità processuale. Esso, infatti, può riguardare problematiche relative agli alimenti, al mantenimento e alla custodia dei figli ed inoltre, nei Paesi che disciplinano la monogamia, il divorzio permette di contrarre un altro matrimonio. In Italia la legge 1º dicembre 1970, n. 898 (Fortuna-Baslini) "Disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio", entrata in vigore il 18 dicembre 1970, stabilisce che il divorzio deve sempre essere preceduto da un periodo di separazione dei coniugi, che all’inizio doveva essere di almeno di 5 anni, ma con il tempo si è ridotto fino a 6 mesi, nei casi di separazione consensuale. Tuttavia si verifica sempre più sovente che i coniugi mantengano a tempo indeterminato lo stato di separazione pur convivendo con un’altra persona, per eludere i costi del relativo procedimento giudiziario.
Anche se la legge non ne parli espressamente, oggi con il termine divorzio si intende la fine di un matrimonio per cause diverse dalla morte di uno dei coniugi, infatti esso indica:
1. lo scioglimento definitivo del vincolo del matrimonio civile, ossia celebrato in Comune davanti ad un Ufficiale di Stato Civile (quasi sempre il Sindaco) e disciplinato dall’art.1 L.898/70.
2. La “cessazione degli effetti civili” del matrimonio concordatario, ossia del matrimonio celebrato secondo le norme del diritto canonico e davanti ad un Ministro del culto Cattolico (in Chiesa) e poi trascritto sui registri dello Stato Civile del Comune di appartenenza. In questo caso il divorzio non inciderà sul sacramento religioso (ex art.2 L.898/70) che, invece, potrà estinguersi solo a seguito di una sentenza di annullamento o di nullità emessa dal Tribunale Ecclesiastico Regionale o dalla Sacra Rota.
Il divorzio viene dichiarato con sentenza del Tribunale di competenza. Tuttavia, in seguito al DL 132/2014, i coniugi in lite possono ottenere il divorzio anche a seguito di una apposita procedura di negoziazione assistita da un avvocato oppure, se ricorrono determinate condizioni, a seguito di un accordo raggiunto davanti ad un Ufficiale di Stato Civile (Sindaco).
Tuttavia è bene sottolineare, nonché anticipare che, dopo più di trent’ anni, la Legge n.55 del 22 aprile 2015, definita legge sul “divorzio breve”, ha introdotto delle importanti riforme proprio in materia di divorzio.
Gli articoli 1 e 2 della Legge sul divorzio ( n. 898/1970) sanciscono il principio secondo cui il Giudice, prima di procedere alla sentenza di divorzio, deve tentare una riconciliazione delle parti, ossia deve verificare che non ci sia alcuna possibilità di sanare i contrasti tra moglie e marito. Infatti, il Tribunale prima di affermare lo scioglimento del matrimonio civile o la cessazione degli effetti civili del matrimonio concordatario, dovrà accertare l’esistenza di due condizioni:
1. la cessazione :
a. della comunione spirituale tra coniugi per l’inesistenza di “affectio coniugalis”, e cioè di quel legame di affetto, sostegno, condivisione reciproci che caratterizza il vincolo matrimoniale;
b. della comunione materiale, determinata da una convivenza stabile attraverso un’organizzazione familiare comune, nella quale i coniugi oltre ad aiutarsi tra di loro, intrattengano anche rapporti sessuali.
2. l’esistenza di una delle cause previste dall’art. 3 della legge 898/1970 e precisamente:
- quando, dopo la celebrazione del matrimonio, uno dei coniugi sia stato condannato all’ergastolo o ad altra pena superiore a 15 anni di detenzione per delitti di rilevante gravità oppure abbia avuto una condanna per incesto, prostituzione, reati contro la libertà sessuale, omicidio volontario o tentato di un figlio o del coniuge, lesioni aggravate, maltrattamenti, ecc.
- quando i coniugi sono separati legalmente e, al tempo della presentazione della domanda di divorzio, la separazione se è giudiziale (raggiunta attraverso contenzioso) dura ininterrottamente da almeno 12 mesi o da almeno 6 mesi nel caso di separazione consensuale (raggiunta attraverso accordo tra le parti). In entrambi i casi il termine decorre dal giorno della comparizione delle parti davanti al Presidente del Tribunale nel procedimento di separazione;
- quando l’altro coniuge, cittadino straniero, ha ottenuto all’estero l’annullamento o lo scioglimento del matrimonio e ha contratto un altro matrimonio all’estero;
- quando il matrimonio non è stato consumato;
- quando è stato dichiarato giudizialmente il cambio di sesso di uno dei coniugi ex legge n.164 del 14 aprile 1982.
Posto che la decisione di porre fine al matrimonio compete, solo ed esclusivamente, ai coniugi, quando ciò venga a verificarsi, il legislatore italiano ha previsto sei tipologie differenti di divorzio, strettamente legate al rapporto che moglie e marito riescano a mantenere in un momento così doloroso e delicato della loro vita, soprattutto se “gravato” dalla presenza di figli.
- DIVORZIO GIUDIZIALE (IN TRIBUNALE).
Il divorzio giudiziale ricorre ogni volta che non ci sia accordo tra i coniugi riguardo allo scioglimento del vincolo matrimoniale. Infatti il termine “giudiziale” indica la necessità della presenza di un giudice in un’aula di Tribunale, perché i coniugi in disaccordo possano divorziare.
Si ricorre al divorzio giudiziale, dopo un periodo di separazione ininterrotta di almeno 12 mesi :
1. quando moglie e marito non riescono a trovare un punto d’incontro sulla custodia dei figli e sulla gestione economica della “frattura” della vita insieme;
2. quando uno dei due coniugi sia irreperibile;
3. quando solo uno voglia divorziare.
Poiché lo scioglimento del matrimonio può essere richiesto da un solo coniuge contro la volontà dell’altro, la procedura del divorzio giudiziale è molto lunga e complessa. Essa, infatti, prevede indagini di vario tipo, soprattutto fiscali, nonché l’intervento di testimoni e la collaborazione di esperti (ad esempio psicologi e mediatori) in presenza di figli minori.
Il procedimento del divorzio giudiziale definito “in contenzioso”, perché appunto i coniugi sono in disaccordo, si svolge davanti al Presidente del Tribunale del luogo in cui il secondo coniuge ha la propria residenza o il proprio domicilio ; se, però, il secondo coniuge risieda all’estero o sia irreperibile, la competenza spetterà al Tribunale del luogo di residenza o di domicilio del coniuge che lo ha richiesto, ma nel caso in cui quest’ultimo risieda all’estero, la competenza spetterà ad un Tribunale qualunque.
Nella domanda si deve sempre indicare l’esistenza di eventuali figli nati durante il matrimonio.
Moglie e marito devono essere assistiti ciascuno da un proprio difensore.
Come previsto dalla Legge sul Divorzio, in prima udienza, il Presidente del Tribunale dopo aver tentato la conciliazione e aver accertato l’impossibilità di mantenere o ricostituire la comunione spirituale e materiale - tra i coniugi ormai in separazione da almeno 12 mesi -, emette una ordinanza che definisce, in pendenza del procedimento, gli aspetti necessari ed urgenti relativi alla prole e al patrimonio. Quindi il Presidente nomina un Giudice Istruttore e fissa la data dell’udienza davanti a questo.
La causa prosegue con la fissazione di altre udienze, ma nel caso essa richieda una fase istruttoria particolarmente complessa, ossia si renda necessario un lungo periodo per l’acquisizione delle prove (testimonianze, perizie, ecc.), il Tribunale emanerà una sentenza provvisoria con la quale i coniugi potranno riacquistare lo stato libero.
2. DIVORZIO CONGIUNTO (IN TRIBUNALE).
Il divorzio congiunto si verifica quando la domanda per ottenere lo scioglimento del vincolo matrimoniale è presentata da entrambi i coniugi consensualmente (può essere presentata da un solo legale per entrambi i coniugi, oppure dai rispettivi legali nominati dai coniugi) quando essi sono in accordo sulle condizioni relative alla fine della loro unione quali :
- affidamento dei figli e relative visite,
- gestione dei beni comuni,
- assegnazione della casa coniugale,
- assegno divorzile.
In questo caso la legge prevede una procedura molto più veloce e snella : i coniugi devono farsi assistere in Tribunale da un difensore - che potrebbe anche essere lo stesso per entrambi - .
Il giudizio si svolge davanti al Tribunale in Camera di Consiglio, pertanto si esaurisce in una sola udienza fissata con decreto , dal Presidente del Tribunale successivamente alla lettura del ricorso. Quindi il Giudice, tentata la conciliazione tra le parti, accertata la fine della comunione spirituale e materiale tra i coniugi, verificata la sussistenza dei presupposti previsti dalla legge sul Divorzio (in particolare la separazione ininterrotta da almeno 6 mesi delle parti), pronuncia la sentenza di scioglimento del matrimonio o di cessazione degli effetti civili (ove si sia in presenza di un matrimonio concordatario).
Nel caso in cui la condizione che determina il divorzio giudiziale venga a mancare, i coniugi, trovato un accordo, possono ricorrere al divorzio consensuale e quindi ad un procedimento più rapido e snello.
- DIVORZIO TRAMITE NEGOZIAZIONE ASSISTITA
In Italia si tende a portare avanti il principio di bigenitorialità, pertanto in caso di divorzio con figli minori o non autosufficienti economicamente, è obbligatoria l’assistenza di un avvocato (sarebbe meglio se specializzato in diritto di famiglia) che possa garantire la tutela dei figli evitando che diventino strumento di vendetta tra i genitori. In questo caso, per effettuare un divorzio in modo congiunto, le parti potrebbero ricorrere alla negoziazione assistita o al divorzio in Comune.
La negoziazione assistita è stata introdotta nel nostro ordinamento con il decreto giustizia n.132/2014 convertito nella legge n. 162/2014, per ridurre il grande numero di processi civili nelle aule dei tribunali e permettere ai contendenti di risolvere più velocemente le controversie di minore entità. Essa rappresenta un tentativo per portare parte dei conflitti fuori dalle aule dei tribunali, è quindi una alternativa stragiudiziale per risolvere i contenziosi. Infatti, attualmente, si ricorre alla negoziazione assistita, ossia ad un accordo chiamato “convenzione di negoziazione” anche nei casi di separazione/divorzio consensuali, ottenuti cioè non in un’aula di tribunale, ma alla presenza di un legale per ognuno dei coniugi. Quindi sulla base di questa nuova normativa, gli ex-coniugi possono divorziare, tramite il procedimento della convenzione di negoziazione assistita da legali.
In questo caso i coniugi, decidono di collaborare per trovare un accordo bonario affidandosi all’assistenza di avvocati.
Per evitare conflitti di interesse, gli avvocati, non solo dovranno essere due - uno per ogni coniuge -, ma non potranno appartenere al medesimo Studio Legale.
La negoziazione assistita si apre con l’invito di procedere al divorzio mediante una “convenzione”.
Nel caso in cui l’invito non sia accolto, il Giudice dell’eventuale giudizio ne dovrà tenere conto.
Le parti hanno minimo un mese di tempo per trovare un accordo, il quale dovrà essere sottoscritto dai legali che le assistono, per garantirne la conformità “alle norme imperative ed all’ordine pubblico”, ed autenticare le sottoscrizioni delle parti stesse.
Successivamente gli avvocati devono presentare la copia autenticata dell’accordo all’Ufficiale dello Stato Civile del Comune in cui il matrimonio è stato iscritto o trascritto, entro il termine di 10 giorni, termine previsto solo in presenza di figli minori, incapaci o portatori di gravi handicap, per ottenere il nullaosta o l’autorizzazione del Pubblico Ministero.
4.DIVORZIO IN COMUNE
Il divorzio in Comune, ossia davanti all’Ufficiale di Stato Civile (il Sindaco) costituisce la forma di divorzio più veloce ed economica (è esentasse e prevede solo l’imposta di bollo) per la quale l’ assistenza degli avvocati è facoltativa.
La legge 162/2014, ha introdotto la possibilità per le coppie che vogliono separarsi, divorziare o modificare le condizioni di precedenti provvedimenti, di presentarsi davanti al Sindaco del Comune di residenza di uno dei due o di quello di trascrizione del matrimonio.
Tuttavia per ottenere la separazione o il divorzio in Comune devono ricorrere alcune condizioni :
1. l’accordo tra gli ex -coniugi sugli aspetti della separazione o del divorzio quali l’abitazione della casa, il mantenimento, l’intestazione del contratto di affitto ;
2. l’assenza di figli minorenni o maggiorenni incapaci o portatori di handicap grave, oppure non autosufficienti economicamente, non prendendo in considerazione i figli nati da unioni e matrimoni precedenti con altre persone;
3. l’accordo tra i coniugi non deve riguardare trasferimenti di tipo patrimoniale e cioè accordi che abbiano per oggetto il trasferimento di beni mobili, immobili o somme di denaro, ma sono ammesse le disposizioni dei coniugi da cui nasca un rapporto obbligatorio, quali il pagamento di un assegno periodico.
Le parti possono ricorrere al divorzio in Comune purchè siano state separate per almeno sei mesi, nel caso di separazione consensuale, per almeno 12 mesi nel caso di separazione giudiziale.
Trascorsi non meno di 30 giorni dalla ricezione dell’accordo, il Sindaco invita moglie e marito alla sua presenza per riceverne la definitiva conferma.
5. DIVORZIO BREVE.
La legge n. 55/2015 ha introdotto il divorzio breve modificando la legge sul divorzio (n. 898/1970) e apportando una sostanziale riforma nel diritto matrimoniale caratterizzata da alcune novità che ora andremo ad esaminare.
1 Riduzione dei termini
Una novità determinante, introdotta dal divorzio breve, riguarda i termini di durata del procedimento di scioglimento degli effetti civili del matrimonio, a differenza della negoziazione assistita che, invece, consente di ottenere il divorzio/separazione in “poco tempo”. Infatti, è stato ridotto il lasso di tempo della separazione, che prima equivaleva a tre anni, per poter ottenere il divorzio. Adesso moglie e marito possono mettere fine al matrimonio aspettando :
- sei mesi dalla omologa di separazione, in caso di separazione consensuale,
- dodici mesi in caso di separazione giudiziale.
Tale termine inizierà a decorrere :
- dalla data di comparizione davanti al Giudice, per coloro che si sono separati in tribunale ;
- dalla data degli accordi registrata dall’Ufficiale dello Stato Civile, per coloro che hanno scelto la negoziazione assistita;
- dalla data della stipula (non più della conferma) dell’accordo sottoscritto nella prima comparizione davanti al Sindaco, per coloro che per la separazione sono ricorsi al proprio Comune.
Questi nuovi termini “abbreviati” sono applicati a tutti i processi in corso a partire dall’entrata in vigore della Legge n. 55 del 2015 e si applicano anche nei casi con figli minorenni o maggiorenni non economicamente autonomi.
- Scioglimento anticipato della comunione dei beni
La legge 55/2015 all’art.2 prevede l’anticipazione dello scioglimento della comunione legale tra coniugi, i quali ora non dovranno più aspettare il termine del procedimento civile e quindi il passaggio in giudicato della sentenza di separazione. Pertanto nella separazione consensuale tale scioglimento si avrà a partire dalla data di sottoscrizione del verbale di separazione, che in seguito sarà omologato ; nella separazione giudiziale, invece, lo scioglimento della comunione dei beni si avrà quando all’udienza di comparizione il Presidente del Tribunale autorizza le parti a vivere separate.
- Sono documenti necessari per il divorzio breve :
- Copia dell’atto di matrimonio;
- Certificato contestuale dello stato di famiglia e di residenza;
- Sentenza di separazione del Tribunale oppure copia autentica del decreto di omologa, degli accordi autorizzati di negoziazione assistita o dell’accordo sottoscritto davanti all’Ufficiale dello Stato Civile;
- Dichiarazioni dei redditi sia della moglie che del marito degli ultimi tre anni.
E’ evidente che il procedimento del divorzio breve può essere in linea di massima di due tipi: attraverso il deposito di un ricorso in Tribunale o mediante negoziazione assistita, iter quest’ultimo molto più celere in quanto potrebbe durare poco più di trenta giorni.
ANNOTAZIONE DELLA SENTENZA DI DIVORZIO
La sentenza di divorzio, sia questo giudiziale o consensuale, deve essere trasmessa all’Ufficiale di Stato Civile perché proceda all’annotazione di essa sul Registro dello Stato Civile del luogo in cui è stato trascritto il matrimonio.
GLI EFFETTI DEL DIVORZIO
La sentenza di divorzio sancisce il termine dello status coniugale ed è equiparabile alla risoluzione di un contratto comportando per i coniugi effetti sia personali che patrimoniali.
1 nel matrimonio civile produrrà lo scioglimento del vincolo matrimoniale; mentre nel matrimonio religioso comporterà la cessazione degli effetti civili, ma non del vincolo indissolubile del sacramento religioso.
2. La moglie divorziata perderà il cognome del marito, acquisito con il matrimonio, ma potrà mantenerlo qualora ne faccia espressa richiesta e il Giudice ne riconosca un interesse meritevole di tutela per lei o per i figli, come per esempio nel caso in cui, d’accordo con il marito, il cognome sia stato utilizzato per un’attività commerciale. A tal proposito la Corte Suprema ha stabilito che nel caso in cui la donna venga meno al divieto di usare il cognome del marito, questi può agire contro la ex moglie chiedendo la cessazione del comportamento lesivo e il conseguente risarcimento del danno.
3. Tra gli effetti personali derivanti dalla sentenza di divorzio, prevale il recupero dello stato libero da parte degli ex coniugi che quindi potranno tornare a contrarre un altro matrimonio civile, ma non religioso in quanto quest’ultimo viene considerato indissolubile dall’ordinamento canonico.
4. L’assegno divorzile rientra, invece, tra gli effetti patrimoniali legati alla sentenza di divorzio. Infatti, prendendo in considerazione la durata del matrimonio, le motivazioni della rottura dello stesso, la condizione di ciascuno dei due coniugi in relazione al contributo personale ed economico apportato alla famiglia e al suo patrimonio, il Giudice dispone l’obbligo per il coniuge più abbiente di versare periodicamente un assegno all’altro fino a quando questi si risposi o muoia.
L’assegno divorzile che deriva dallo scioglimento del matrimonio, non va confuso con l’assegno di mantenimento derivante, invece, dalla separazione e che riguarda, una fase transitoria che avrà fine con il divorzio o l’eventuale riconciliazione. L’assegno che il coniuge divorziato deve corrispondere a quello più debole pur considerato tra gli assegni alimentari, ne differisce per il suo carattere assistenziale.
5. I coniugi divorziati perdono ogni diritto successorio reciproco. Tuttavia il coniuge superstite e già titolare dell’assegno divorzile per sentenza del giudice, nel caso in cui l’altro coniuge sia morto senza lasciare un coniuge superstite, ha diritto alla pensione di reversibilità, nel caso, invece, vi fosse anche il coniuge superstite il Giudice gli attribuirà solo una quota della pensione e degli altri assegni.
6. Al coniuge divorziato e titolare dell’assegno divorzile, fermo restando che non si sia risposato, viene riconosciuto anche il diritto ad una percentuale di indennità di fine rapporto appartenente all’altro coniuge, pari al 40% dell’indennità totale, riferita al periodo in cui il lavoro ha coinciso con il matrimonio.
7. Dopo il divorzio i rapporti tra genitori e figli devono rimanere invariati, pertanto anche se i genitori si siano risposati, continuano ad avere l’obbligo di mantenere, istruire ed educare la prole. I figli minorenni verranno affidati ad entrambi i genitori sulla base della legge sull’affido condiviso.
8. La sentenza di divorzio decide anche l’attribuzione dei beni di proprietà dei coniugi ed in particolare della casa coniugale. Comunemente il diritto di abitare nella casa familiare viene riconosciuto al genitore collocatario dei figli minori o comunque quello con cui continuano a convivere anche se maggiorenni, ma non ancora autosufficienti dal punto di vista economico. Tuttavia la condizione di favorire il coniuge più debole viene disattesa dalla legge, se quest’ultimo non vanti alcun diritto personale o reale sulla casa e non sia affidatario o comunque convivente con i figli maggiorenni economicamente dipendenti.
ASPETTI CIVILI DELLA DELIBAZIONE DELLA SENTENZA ECCLESIASTICA DI NULLITA’ DEL MATRIMONIO.
La delibazione è il procedimento giudiziario mediante il quale lo Stato riconosce, concedendone l’esecuzione, gli atti ecclesiastici.
Si ricorre alla delibazione nei procedimenti civili di scioglimento dei matrimoni per rendere efficace la sentenza ecclesiastica di nullità, cosicchè le parti possano contrarre un nuovo matrimonio.
Risale al 1984 il nuovo concordato concluso tra la Città del Vaticano e la Repubblica Italiana, che ha modificato il Concordato Lateranense del 1929. Il nuovo accordo politico è formato da quattordici articoli diretti a “regolare le condizioni della religione e della Chiesa in Italia” ed in particolare l’articolo 8 afferma e tutela “gli effetti civili del vincolo matrimoniale celebrato in forma canonica”.
Pertanto la sentenza ecclesiastica di nullità di un matrimonio celebrato in forma canonica e poi trascritto civilmente (concordatario), diviene giuridicamente efficace nella Repubblica Italiana mediante istanza di delibazione. Tuttavia la delibazione della sentenza ecclesiastica deve essere richiesta da entrambi gli ex coniugi o anche da uno soltanto, ma l’altro non dovrà opporsi una volta venutone a conoscenza.
Condizione essenziale perché si possa addivenire a detto procedimento è che si sia ottenuto l’exequatur, il decreto di esecutività, dal Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica. Tale decreto viene emesso dal Tribunale di seconda Istanza, che ha ratificato (confermato) il procedimento in primo grado, dopo aver accertato la corretta applicazione delle norme del diritto canonico nel procedimento svoltosi davanti ai Tribunali ecclesiastici. Per avviare la relativa procedura, infatti, la prestampata domanda e relativi allegati vanno depositati presso il sopracitato Supremo Tribunale.
Il procedimento di delibazione si svolge davanti alla Corte d’Appello competente territorialmente e cioè quella in cui si trova il Comune nel quale il matrimonio concordatario è stato trascritto. Il giudizio di delibazione si fonda sul principio della domanda che, come già anticipato, può essere presentata da entrambe le parti o da una soltanto di esse.
Gli ex coniugi possono presentare domanda congiunta alla Corte d’Appello avviando così un ricorso con il più rapido rito camerale, oppure nel caso di domanda presentata da uno soltanto di essi, si dovrà procedere ad un atto di citazione da notificare all’altro e solo successivamente al più lungo rito ordinario. La Corte d’Appello, investita del procedimento, dovrà effettuare tutti gli accertamenti necessari perché si possa procedere al riconoscimento di efficacia della sentenza di nullità emessa da un Tribunale ecclesiastico, in modo che anche per lo Stato verranno meno, ex tunc, gli effetti patrimoniali e personali del matrimonio.
- La delibazione riguarda solo le sentenze passate in giudicato, ma notoriamente per il diritto canonico, le sentenze ecclesiastiche di nullità non passano mai in giudicato, pertanto “si considera sentenza passata in giudicato la sentenza che sia divenuta esecutiva secondo il diritto canonico”.
- La Corte d’Appello deve accertare la competenza del giudice ecclesiastico relativamente alla causa e quindi che il matrimonio sia concordatario e celebrato in Italia. Deve verificare che “nel procedimento davanti ai Tribunali ecclesiastici è stato assicurato alle parti il diritto di agire e resistere in giudizio, in modo non difforme dai principi fondamentali dell’ordinamento italiano” che corrisponde all’ordine pubblico processuale, ed inoltre “che ricorrono le altre condizioni richieste dalla legislazione italiana per la dichiarazione di efficacia delle sentenze straniere”.
Pertanto :
- non dovrà coesistere un processo, con le stesse parti e il medesimo oggetto, pendente dinanzi ad un giudice civile;
- la sentenza non potrà essere contraria ad un’altra passata in giudicato ed emessa da un giudice italiano ed inoltre non potrà essere contraria all’ordine pubblico sostanziale del nostro Paese (la violazione dell’ordine pubblico viene rilevata d’ufficio).
Si ritengono contrarie le sentenze di nullità del matrimonio che si fondano su impedimenti di natura puramente confessionale, come la differenza di culto, pertanto i matrimoni celebrati nonostante la loro sussistenza sono considerati validi per lo Stato italiano. Inoltre non è prevista la delibazione per le sentenze in cui sia stato leso il principio della buona fede e dell’affidamento incolpevole di una delle due parti, e non sono “delibabili” neanche le sentenze ecclesiastiche che dichiarino la nullità del matrimonio concordatario per esclusione effettuata da una sola delle parti di uno dei “bona matrimonii” intesi come l’esclusione di beni essenziali come la prole, l’indissolubilità, la fedeltà, e considerati contrari all’ordine pubblico nel momento in cui tale esclusione rappresenti una riserva mentale del suo autore nei confronti dell’altro coniuge. Inoltre la Cassazione ha stabilito che non può essere sottoposta al giudizio di delibazione la sentenza che si riferisca ad un matrimonio nel quale la convivenza dei coniugi abbia superato il terzo anno.
Il procedimento di delibazione termina con la trascrizione della sentenza canonica di nullità del matrimonio sul Registro dello Stato Civile del Comune dove l’atto di matrimonio è stato registrato. Da questo momento il matrimonio viene considerato nullo, come se non fosse mai stato celebrato, eccezion fatta nei confronti della prole, la quale invece continuerà a godere degli stessi effetti previsti nel caso di genitori sposati.
La procedura di delibazione quindi, configura una via alternativa al divorzio civile ed infatti una volta ottenutala non sarà più necessario chiedere il divorzio, ma se la sentenza (di divorzio) sia stata già emessa allora continuerà a produrre i suoi effetti sia sul piano personale che patrimoniale.