
VIOLENZA DI GENERE
Alla Conferenza ONU di Vienna – sui diritti umani -, dell’anno 1993 viene preso, per la prima volta, in seria considerazione il tema della violenza contro le donne.
In detta sede viene stilata la famosa “Dichiarazione sull’eliminazione della violenza contro la donna”, al cui articolo 1, viene definita detta tipologia di violenza come "qualunque atto legato alla differenza di sesso che provochi, o possa provocare, un danno fisico, sessuale o psicologico, o una sofferenza della donna compresa la minaccia di tali atti, la coercizione o la privazione arbitraria della libertà, sia nella vita pubblica sia nella vita privata".
In Italia il primo riconoscimento sociale riguardate lo scottante tema, è derivato dalla approvazione della L. n. 66 del 15 febbraio 1996 (che ha modificato il codice penale aggiungendovi l’art. 609 bis) che ha riconosciuto la violenza sessuale quale reato contro la libertà personale e non più reato contro la moralità pubblica e il buon costume. Infatti la Suprema Corte (sentenza n. 43553/2018) ha sancito che "Il bene tutelato dall'articolo 609 bis c.p., è rappresentato dalla libertà personale dell'individuo, che deve poter compiere atti sessuali in assoluta autonomia e libertà, contro ogni possibile condizionamento, fisico o morale, e contro ogni non consentita e non voluta intrusione nella propria sfera intima, anche se attuata con l'inganno. La libertà sessuale è perciò espressione della personalità dell'individuo, che trova copertura costituzionale nei precetti di cui all'articolo 2 Cost., e articolo 3 Cost., comma 2. In coerenza con il bene protetto e con la centralità della persona offesa, ai fini della tipizzazione dell'offesa non si richiede né il dolo specifico, né alcun movente esclusivo, in quanto qualsiasi valorizzazione di questi atteggiamenti interiori sposterebbe il disvalore della condotta incriminata dalla persona che subisce la limitazione della libertà sessuale a chi la viola".
Dalle indagini ISTAT dell’anno 2014 è emerso che :
- “Il 31,5% delle 16-70enni (6 milioni 788 mila) ha subìto nel corso della propria vita una qualche forma di violenza fisica o sessuale : il 20,2% (4 milioni 353 mila) ha subìto violenza fisica, il 21% (4 milioni 520 mila) violenza sessuale, il 5,4% (1 milione 157 mila) le forme più gravi della violenza sessuale come lo stupro (652 mila) e il tentato stupro (746 mila)
- Ha subìto violenze fisiche o sessuali da partner o ex partner il 13,6% delle donne (2 milioni 800 mila), in particolare il 5,2% (855 mila) da partner attuale e il 18,9% (2 milioni 44 mila) dall’ex partner. La maggior parte delle donne che avevano un partner violento in passato lo hanno lasciato proprio a causa delle violenza subita (68,6%). In particolare, per il 41,7% è stata la causa principale per interrompere la relazione, per il 26,8% è stato un elemento importante della decisione.
- Il 24,7% delle donne ha subìto almeno una violenza fisica o sessuale da parte di uomini non partner: il 13,2% da estranei e il 13% da persone conosciute. In particolare, il 6,3% da conoscenti, il 3% da amici, il 2,6% da parenti e il 2,5% da colleghi di lavoro.
- Le donne subiscono minacce (12,3%), sono spintonate o strattonate (11,5%), sono oggetto di schiaffi, calci, pugni e morsi (7,3%). Altre volte sono colpite con oggetti che possono fare male (6,1%). Meno frequenti le forme più gravi come il tentato strangolamento, l’ustione, il soffocamento e la minaccia o l’uso di armi. Tra le donne che hanno subìto violenze sessuali, le più diffuse sono le molestie fisiche, cioè l’essere toccate o abbracciate o baciate contro la propria volontà (15,6%), i rapporti indesiderati vissuti come violenze (4,7%), gli stupri (3%) e i tentati stupri (3,5%).
- Le forme più gravi di violenza sono esercitate da partner, parenti o amici. Gli stupri sono stati commessi nel 62,7% dei casi da partner, nel 3,6% da parenti e nel 9,4% da amici. Anche le violenze fisiche (come gli schiaffi, i calci, i pugni e i morsi) sono per la maggior parte opera dei partner o ex. Gli sconosciuti sono autori soprattutto di molestie sessuali (76,8% fra tutte le violenze commesse da sconosciuti).
Ciò sta a significare che nonostante vi sia stata nel tempo una costante emancipazione femminile ed una universale presa di coscienza della problematica, la crescente diffusione del fenomeno della violenza fornisce prova del fatto che le normative volte ad arginarlo non riescono a centrare l’obiettivo e nemmeno a modificare la cultura della discriminazione. Del resto si tratta di una questione trasversale, ovvero che interessa ogni strato sociale, economico e culturale senza differenze di età, religione e razza e per tal motivo è molto difficile da sradicare.
Tema più specifico rispetto alla violenza di genere, è quello della violenza domestica, che è la forma di abuso perpetrato nei confronti delle donne. Un progresso in favore di tutte quelle persone vittime dei loro partner, è stato fatto nell’anno 2001, con la legge n. 154 del 4 aprile 2001, che ha introdotto l’art 342-ter, appositamente concepito onde allontanare l’autore dei comportamenti violenti dalla vittima di violenza domestica, prevedendo misure cautelari, ma anche concrete tutele per l’assistenza materiale e psicologica di quest’ultima (ad esempio Centri di Mediazione Familiare).
Altro passo avanti è stato poi fatto tramite l’ausilio della “Convenzione del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne e la violenza domestica” (Convenzione di Istanbul approvata l’11 maggio 2011) intervenuta a colmare le lacune delle varie normative internazionali in tema di violenza sulle donne e violenza domestica. Il trattato propostosi di prevenire la violenza, favorire la protezione delle vittime ed impedire l'impunità dei colpevoli, veniva firmato da 32 paesi e l’Italia, lo ratificava nell’anno 2013. Detta Convenzione è stata il primo strumento internazionale giuridicamente vincolante che ha creato un quadro giuridico completo per proteggere le donne contro qualsiasi forma di violenza. “In particolare, la finalità è quella di prevenire e contrastare la violenza intra-familiare e altre specifiche forme di violenza contro le donne”.
Con la Legge 15 ottobre 2013 n. 119 (contenente le misure contro la violenza di genere) il nostro legislatore ha inteso arricchire il codice di nuove aggravanti, accrescendo anche le misure a tutela delle vittime di maltrattamenti e violenza domestica, investendo anche risorse per pianificare azioni antiviolenza. In particolare è stata presa in considerazione “la relazione fra due persone a prescindere da convivenza o vincolo matrimoniale e sono state previste aggravanti per : maltrattamenti in famiglia, ai reati di violenza fisica, stalking, violenza sessuale.
La World Health Organization (WHO), ha definito la violenza domestica come “ogni forma di violenza fisica, psicologica o sessuale che riguarda tanto soggetti che hanno, hanno avuto o si propongono di avere una relazione intima di coppia, quanto soggetti che all’interno del nucleo familiare più o meno allargato hanno relazioni di carattere parentale o affettivo, violenti sono gli atti che mettono l’uomo in una condizione di potere e di controllo sul partner”.
La violenza si differenzia in :
violenza fisica = qualsiasi atto o condotta volto ad intimorire, terrorizzare e fare del male. Ad esempio aggressioni fisiche di vario genere : “lo spingere, afferrare o storcere le braccia, schiaffeggiare, mordere, minacciare con un oggetto o un’arma, bruciare, tirare i capelli” . Atti questi che possono portare al ferimento del soggetto debole.
violenza psicologica = qualsiasi comportamento intimidatorio e persecutorio del tipo: “minacce, ricatti, umiliazioni pubbliche o private, continui insulti, svalorizzazione, controllo o imposizione di scelte individuali, segregazione in casa, sorveglianza ossessiva, isolamento dalla rete familiare e amicale, “lavaggio del cervello”. In tal modo “La vittima perde la capacità critica, le certezze e la fiducia in se stessa, divenendo sempre meno capace di ribellarsi e sempre più protettiva nei confronti del partner maltrattante”.
In punto di violenza psicologica, “l’ISTAT ha rilevato che la forma prevalente all’interno della più ampia violenza domestica è la violenza psicologica. La violenza psicologica intra-familiare genera la violenza economica, che riguarda tutto ciò che, direttamente o indirettamente, impedisce, ostacola o concorre a far sì che alla donna venga impedito l’accesso alle risorse economiche, costringendola in una situazione di dipendenza, privandola della possibilità di decidere e di agire autonomamente secondo i propri desideri e le proprie scelte di vita”.
violenza sessuale = di solito si verifica all’interno delle pareti domestiche, spesso in un rapporto di coppia, in questo caso avviene : “l’imposizione di rapporti sessuali indesiderati, battute a sfondo sessuale, telefonate oscene, obbligo di guardare materiale pornografico. La messa in atto del rapporto può avvenire con il ricorso all’uso della forza o con ricatti psicologici. Queste forme di violenza conducono la donna a distorcere la realtà e a credere di meritare quelle violenze e tutto ciò che le succede. La donna perde il senso di sé, della propria identità come donna, come compagna, come madre. Comincia a sperimentare un sentimento di inadeguatezza e angoscia, si sente debole e incapace e arriva a credere di aver causato lei stessa i maltrattamenti subiti”.
Purtroppo, come abbiamo accennato, dai risultati delle ricerche condotte sul fenomeno, è emerso che soprattutto all’interno della famiglia si verificano episodi di violenza e di abuso. Quella che viene spesso considerata come un ambiente sicuro di crescita e protezione dell’individuo, contiene troppo spesso celata in sé, quella particolare tipologia di violenza. La famiglia “costituisce infatti la prima istanza di socializzazione dell’individuo ed il primo luogo di mediazione con la società”, eppure “uno degli elementi criminogeni della violenza familiare è costituito dalla sussistenza di un legame affettivo tra l’aggressore e la vittima. È proprio l’esistenza di questo legame o di un rapporto di intimità a determinare il momento scatenante della violenza familiare. Sovente infatti, si viene a determinare una forte ambivalenza emozionale nei confronti dei congiunti che possono scatenare forti contrasti e perciò condurre ad esprimere forme di violenza, anche particolarmente cruente, fino all’omicidio”. Come osserva il Fornari : “Il comportamento violento non è solo circoscritto alle manifestazioni estreme dell’uccidere o dell’uccidersi, ma con una frequenza infinitamente superiore si manifesta e si disperde in una miriade di espressioni che non toccano il corpo come tale, bensì il cuore e la mente. Violenza è anche il tramonto della tenerezza e del dialogo, il silenzio scontroso, la rassegnazione, l’indifferenza, la rinuncia, l’abbandono, il dire e il fare intrisi di non rispetto, di rassegnata sfiducia o di sprezzante disistima” .